Nel 2020, anno caratterizzato dalla pandemia di Covid-19 e dalla conseguente crisi economica, l’Italia ha registrato una forte contrazione del numero di occupati (-456 mila). In controtendenza, invece, il settore del lavoro domestico, che fa registrare un significativo aumento della componente regolare (+7,5%) dopo anni di stagnazione.
Quali sono stati gli elementi che hanno portato a questa evoluzione? Per riuscire a fare delle valutazioni analizziamo l’impatto della pandemia attraverso il saldo delle assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro domestico nel 2020.
Osservando la dinamica mensile, nel 2020 le assunzioni hanno superato i licenziamenti di quasi 124 mila unità, mentre l’anno precedente il saldo era pari solo a 15 mila.
In particolare, andando ad esaminare i dati mese per mese, si evidenzia come le assunzioni abbiano registrato un picco nel mese di marzo (primo “lockdown”) e nei mesi di ottobre e novembre (nuove restrizioni anti-Covid e primi effetti della regolarizzazione dei lavoratori stranieri).
Infatti, se nel 2019 il saldo non aveva mai superato quota 12 mila, andando anche in negativo nei mesi estivi (più cessazioni che attivazioni), nel 2020 ha sfiorato le 30 mila unità nel mese di marzo e superato tale quota a ottobre e novembre (in occasione della seconda ondata della pandemia). In particolare, quei picchi sono dovuti a significativi aumenti di assunzioni (intorno a quota 60 mila), presumibilmente riconducibili alla regolarizzazione di lavoratori domestici, altrimenti impossibilitati a proseguire l’attività a causa delle misure restrittive.
Confrontando il 2019 e il 2020 per tipologia di rapporto, si nota come il saldo assunzioni-cessazioni nel 2019 fosse trainato dalla componente “badante” per oltre il 77%, mentre nel 2020 il rapporto si è invertito, con la componente “colf” a pesare per oltre il 64%.
Le motivazioni possono ricercarsi in due fattori che hanno agito in concomitanza: normalmente la badante lavora un maggior numero di ore e rappresenta una figura più stabile per una famiglia datore di lavoro, quindi il lavoro informale è meno diffuso in questa categoria rispetto alle colf che lavorando solo poche ore a settimana.
Per questo, le restrizioni dovute alla pandemia hanno influito sulle scelte delle famiglie, che hanno preferito avviare nuovi contratti di lavoro per avere la certezza della presenza del lavoratore. A questo si è aggiunta la “sanatoria” (inserita nel decreto “Rilancio” 34/2020), che però produrrà effetti più massicci nel 2021.
A livello regionale, nel periodo 2020 il maggior numero di assunzioni di lavoratori domestici si è registrato in Lombardia (91.278) e Lazio (65.005), ma la crescita delle assunzioni rispetto al 2019 è stata maggiore in Campania, Puglia e Basilicata. Per quel che riguarda le cessazioni anche in questo caso i valori maggiori si registrano nelle regioni con più lavoratori domestici (Lombardia e Lazio), ma la crescita rispetto alle assunzioni è più contenuta e supera il 10% solo in Veneto, Marche, Puglia, Basilicata e Sicilia.
Questo andamento di assunzioni e cessazioni porta ad avere saldi positivi in tutte le regioni, con alcune peculiarità per alcune regioni del sud.
Come abbiamo visto per il dato nazionale, l’incremento è dovuto principalmente al boom di assunzioni registrate a marzo, ottobre e novembre. Le assunzioni sono cresciute soprattutto nelle regioni del sud, infatti sono quasi raddoppiate in Basilicata e Puglia, mentre in Campania sono cresciute del 66%. Presumibilmente per una sorta di “regolarizzazione gestita dal basso” dalle famiglie datori di lavoro.
Secondo Lorenzo Gasparrini, Segretario Generale di DOMINA, “L’emersione del lavoro nero rappresenta una delle sfide principali per il mondo del lavoro domestico, dato che la componente irregolare rappresenta ancora quasi il 60% del totale. Durante la pandemia, il lockdown e la regolarizzazione degli stranieri hanno permesso alle famiglie di far emergere molti rapporti di lavoro informali. Ma per consentire che l’emersione sia continuativa e non solo emergenziale servono degli sgravi fiscali e contributivi che alleggeriscano il peso del costo del lavoro domestico. In questo modo le famiglie avranno davvero un vantaggio nell’assumere i lavoratori domestici in regola, portando un beneficio allo Stato in termini di gettito fiscale e sicurezza nei luoghi di lavoro.”.